La somatizzazione ansia è un problema comune in tantissime persone. Noi tutti siamo il frutto di un inscindibile legame, collaborazione e interdipendenza tra corpo e mente; insieme formano un unico complesso integrato che viene influenzato da fattori biologici, psicologici, sociali.

Somatizzazione ansia

Le somatizzazioni ansia, o più correttamente i disturbi somatoformi, rappresentano una problematica seria per un gran numero di persone, ma non sempre è facile individuarle e definirle con esattezza. Si tratta di disturbi legati ad una sofferenza psichica, che si manifesta attraverso la comparsa di sintomi fisici a carico di un organo o di un apparato.

La somatizzazione, quindi, è un particolare processo psico-fisico che porta una persona a manifestare in una parte del proprio corpo organicamente sana un dolore, come risposta inconscia ad un’alterazione del proprio equilibrio psicologico, coinvolgendo il sistema endocrino ed il sistema immunitario.

E’ come se il corpo esprimesse il disagio psichico, disagio che non trova né una rappresentazione né un canale per tradursi in pensiero e/o parole. Questi meccanismi sono determinati molto spesso dalla presenza di forti livelli di stress, da ansia patologica, da disagi inespressi e repressi, da depressione o da paure costanti.

Somatizzazione ansia: le cause

Un Disturbo da Somatizzazione può dipendere da diverse cause, che non sono di tipo organico in quanto le somatizzazioni sono espressione di un disagio psicologico e sociale; statisticamente i principali responsabili di questi dolori fisicamente inspiegabili sono disturbi psichici e dell’umore quindi ansia, depressione, ipocondria o disturbi bipolari.

Quando si vive uno stato d’ansia protratto nel tempo, possono insorgere disturbi psicosomatici di varia natura, anche senza che si riesca a prendere reale coscienza della sua presenza: talvolta i sintomi fisici sono i primi segnali attraverso i quali ci si rende conto di soffrire di un disturbo d’ansia, che poco alla volta si è fatto sempre più strada e radicalizzato nella propria mente e nella propria vita.

Alcuni studi hanno inoltre dimostrato come le persone colpite da disturbo post traumatico da stress siano più propense a sviluppare disturbi psicosomatici: in tal caso, i sintomi fisici possono comparire anche a grande distanza temporale dall’evento scatenante, rendendo non sempre semplice la sua individuazione

Le conseguenze della somatizzazione ansia possono diventare molto invasive e destabilizzanti e incidere pesantemente sul normale funzionamento sociale e lavorativo. Il paziente, infatti,  può avere  la necessità di consultare spesso i medici per tentare di indagare sull’origine di tali disturbi e, sovente, può iniziare un pellegrinaggio da un medico all’altro nel tentativo di trovare una soluzione per risolvere e/o contenere tali disturbi.

Spesso chi somatizza ansia è profondamente convinto di avere una malattia organica affrontabile solo attraverso esami clinici e farmaci, ignorando o non volendo riconoscere o accettare invece il fatto che la sua natura, e dunque la sua risoluzione, sono di tipo psicologico. Nelle somatizzazioni, infatti, il paziente, in modo del tutto inconsapevole preferisce  spostare sul corpo o su una parte di esso ciò che appare molto difficile affrontare direttamente perché impregnato di forte emotività. Tale meccanismo diventa, quindi, una modalità difensiva che permette di evitare scomodi e dolorosi vissuti emotivi.

E’ importante che vengano riconosciute le basi psicogene del quadro clinico, al fine di evitare interventi medici inutili o eccessive prescrizioni di farmaci che, a loro volta, potrebbero causare effetti indesiderati o complicanze.

ansia cuore

I sintomi della somatizzazione dell’ansia

Somatizzare l’ansia significa avere dei sintomi fisici precisi che spesso spaventano generando circoli viziosi, ovvero la cosiddetta “paura della paura”. Tuttavia essi dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo in ansia ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter scappare o attaccare in modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza. L’ansia, quindi, non è solo un limite o un disturbo, ma costituisce una importante risorsa. E’ infatti una condizione fisiologica efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni (ad es., sotto esame).

Quando l’attivazione del sistema di ansia è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, possono intervenire vari sintomi fisici che diventano cronici, rivelandosi vere e proprie somatizzazioni:

  • Nausea
  • Dolore allo stomaco
  • Problemi digestivi
  • Sensazione di avere qualcosa incastrato in gola
  • Mal di testa
  • Tensioni e dolori muscolari
  • Dolore al petto
  • Problemi a dormire
  • Difficoltà respiratorie
  • Palpitazioni
  • Sudorazione
  • Tremori
  • Vuoti di memoria
  • Vertigini

I sintomi da somatizzazione che vengono riportati più frequentemente sono dunque svariati, e possono manifestarsi all’interno di un quadro clinico anche molto eterogeneo.

Ad esempio, l’ansia può essere fonte indiretta di nausee e dolori allo stomaco anche per un motivo molto più materiale: quando un soggetto soffre di ansia può inconsapevolmente sentirsi spinto a ingurgitare velocemente e in maniera disordinata il cibo. Questo comportamento involontario può compromettere la corretta digestione e può causare senso di pesantezza, gonfiore addominale, dolori e bruciore di stomaco.

Dolore al petto da ansia

La somatizzazione dell’ansia alla gola è piuttosto comune nei soggetti ansiosi. La causa di questo tipo di disturbo somatoforme può essere interpretata come una difficoltà a esternare i propri pensieri. Solitamente si manifesta come quello che viene comunemente chiamato nodo alla gola, con conati di vomito o una sensazione di costrizione.

Il nodo alla gola può essere associato alla sensazione di avere un corpo estraneo incastrato appunto in gola, un qualcosa che impedisce di deglutire e che fa insorgere il timore di soffocare. La ricorrenza di episodi di questo tipo può generare paure croniche come quella di soffocare mangiando o bevendo e può provocare la continua necessità di deglutire. Estinto l’attacco d’ansia, ritornerà alla normalità anche la gola.

Uno dei più frequenti effetti negativi che l’ansia esercita a livello organico sul corpo umano coinvolge la testa. Spesso l’ansia si manifesta come una cefalea tensiva o sotto forma di emicrania pulsante. Non è raro che il dolore si espanda poi verso orecchie, bocca, occhi e collo.

Solitamente le cause della somatizzazione dell’ansia con dolore alla testa vanno cercate in uno stile di vita della persona sofferente estremamente votato alla cerebralità e alla tendenza a razionalizzare qualunque aspetto della propria esistenza, il continuo rimuginare su quello che è successo o quello che potrebbe succedere.

Solitamente si tratta di persone che esercitano un eccessivo controllo su se stesse e sugli altri, che tendono ad organizzare perfettamente ogni aspetto della propria vita e di quella altrui anche in assenza di una specifica richiesta.

La somatizzazione dell’ansia agli occhi può essere conseguenza degli effetti che questa ha sulla testa della persona. Le cefalee e le emicranie possono mutare in dolori psicosomatici alle palpebre e a temporanei cali della vista. Oltre a ciò è possibile anche che siano gli occhi direttamente, e non di riflesso, a somatizzare l’ansia.

Un’altra delle forme più comuni di somatizzazione dell’ansia è attraverso dolori muscolari diffusi in tutto il corpo.

La mente umana non percepisce come pericolo solo situazioni oggettive provenienti dall’esterno ma anche quelle circostanze psicologiche che, più che il corpo, mettono a repentaglio la stabilità della psiche: in questo caso i muscoli rimangono contratti a lungo e vanno in asfissia, e questa mancanza di ossigeno contribuisce alla formazione di tossine che danno poi origine al dolore muscolare.

Oltre alle gambe, le altre zone del corpo che risentono maggiormente del dolore in conseguenza all’ansia sono la schiena, il rachide cervicale e la zona lombare. Alcune cause che scatenano la tensione muscolare possono essere problemi lavorativi o addirittura la perdita del lavoro, la preparazione di un esame per uno studente, un divorzio o una separazione coniugale o ancora un lutto.

Un altro disturbo somatoforme che spesso viene correlato all’ansia è l’insonnia. Il corpo è iper-attivato dai sintomi legati al disturbo d’ansia e rende impossibile il sonno. Il tutto potrebbe essere incentivato dalla paura di lasciare il controllo per una scarsa fiducia nelle proprie potenzialità. La notte da sempre porta smarrimento e amplifica le preoccupazioni, tutto sembra più grande.

Ma è l’ansia a causare l’alterazione del sonno, oppure è il contrario? Spesso si pensa che questo fenomeno sia a senso unico, ma la verità è che possono verificarsi entrambi gli scenari: l’ansia prima di dormire può essere causa dell’insonnia, ma può avvenire anche l’opposto.

La mancanza di sonno prolungata, infatti, aumenta la propensione alla depressione e all’ansia. Immaginando una situazione di insonnia causata, ad esempio, da un disturbo fisico, è possibile che il protrarsi del disturbo del sonno causi anche una maggiore predisposizione a uno stato di ansia notturna, che a sua volta andrà a nutrire l’insonnia durante le successive notti. Per questo, per sconfiggere ansia e insonnia è fondamentale riconoscere le cause di entrambe e disinnescare il circolo vizioso per il quale una diviene nutrimento dell’altra.

Mentre altri sintomi tendono ad attirare meno l’attenzione, c’è un sintomo che provoca un atroce timore, e di solito sono le fitte al petto, forse perché questo dolore può essere quanto di più vicino ai sintomi di un attacco cardiaco.

Dinnanzi alla percezione delle fitte al petto dovute all’ansia, la risposta logica dell’individuo è la manifestazione di maggiori livelli di ansia. In questo modo, si    crea un circolo vizioso che si autoalimenta e che peggiora la situazione in alcuni

momenti. Sebbene questa somatizzazione sia piuttosto frequente e non sia indice di un imminente pericolo, a volte può essere sintomo di altri elementi ansiogeni nella vita della persona.

In generale, le fitte al petto dovute all’ansia non si manifestano di punto in bianco, a causa di un passeggero o transitorio episodio di ansia; al contrario, di solito insorgono come conseguenza a una intensa e prolungata presenza di ansia nell’individuo, una presenza che potrebbe generare conseguenze negative per la salute e il benessere dello stesso.

In presenza di fitte al petto, la cosa più giusta da fare è mantenere la calma e aspettare che un professionista confermi l’origine del problema, soprattutto se si ha una certa tendenza a provare ansia.

insonnia uomo

Ansia, stress o panico possono causare inoltre un aumento del ritmo respiratorio anche in una condizione di riposo. In una situazione di normalità, in cui non si è sottoposti a particolari sforzi fisici o stress emotivi, i cicli respiratori sono compresi tra i 10 e i 12 al minuto e permettono di accumulare circa 4 – 6 litri d’aria nei polmoni. Quando l’ansia ha il sopravvento invece il numero dei cicli respiratori supera i 15 al minuto e la quantità di litri d’aria nei polmoni aumenta.

L’aumento del ritmo respiratorio può arrivare fino all’iperventilazione, e può capitare che con l’aumento della respirazione tipico dell’iperventilazione compaiano altri sintomi fisici; oltre alle fitte al torace, si possono avvertire formicolio agli arti, giramento di testa, nausea, senso di svenimento e di vertigine, tremori e vuoti di memoria. E c’è di più. Spesso sono proprio questi sintomi ad aumentare l’ansia e la sensazione di panico.

Il fiato corto tipico dell’iperventilazione coincide con una respirazione toracica, che sfrutta cioè soltanto la parte alta dei polmoni. In questa situazione, la quantità di anidride carbonica nel sangue si riduce notevolmente con conseguenze negative sulla circolazione sanguigna e sull’ossigenazione del cervello che, quando è poco ossigenato, subisce la riduzione della la capacità di concentrarsi e di memorizzare.

Parallelamente, aumentano i livelli di alcuni ormoni specifici che hanno un effetto negativo sullo stato emotivo della persona. Durante l’iperventilazione si crea un vero e proprio circolo vizioso: l’ansia e il panico aumentano la frequenza del respiro e questa, a sua volta, alimentare ulteriormente ansia e panico.

Allora, che fare?

Esistono delle semplici tecniche che permettono di risintonizzare il respiro e placare l’ansia; imparare a concentrarsi sul respiro, ascoltandolo e rallentandolo, può avere un effetto importante nel placare il vissuto ansioso e i suoi sintomi fisiologici.

Sintomi fisici di questo tipo non devono essere sottovalutati.

Capita spesso di incorrere in casi di pazienti che presentano sintomi così intensi da comprometterne la serenità della propria esistenza.

La cura della somatizzazione dell’ansia

In presenza di un disturbo d’ansia è importante non ignorare i sintomi e cercare in tutti i modi di porre rimedio ad una situazione che, con molta probabilità, rischia di danneggiare il normale svolgersi della vita quotidiana della persona afflitta.

Il primo passo è giungere a capire insieme ai medici, mediante esami specifici, che quelli accusati sono sintomi da ansia somatizzata in modo tale da escludere quindi ogni possibile origine organica del dolore. La cura del disturbo d’ansia, e conseguentemente di tutti i sintomi derivanti, passa in primo luogo attraverso un percorso di psicoterapia alla quale, a seconda dei casi, il medico potrà ritenere opportuno affiancare una terapia psicofarmacologica.

 

 

La depressione lieve, detta anche distimia (o disordine distimico) è una forma di disagio depressivo minore nel senso che comporta una minore compromissione delle relazioni sociali e dell’attività lavorativa. La depressione lieve colpisce circa il 17 per cento della popolazione nell’arco della vita.depressione lieve

Si presenta con disturbi lievi ma con andamento cronico; solitamente (causa la relativa levità degli effetti) è frequente che il malato non ne sia consapevole in quanto convinto che il disagio quotidiano sia parte integrante, da sempre, del suo carattere.

Generalmente la persona distimica riesce ad espletare le proprie funzioni lavorative e ad avere rapporti sociali, ma in modo nettamente diminuito e con uno sforzo notevole anche nelle cose più “normali” e di cui le persone con le quali si relaziona, spesso anche i familiari stessi, ben difficilmente si rendono conto. L’atteggiamento quasi perennemente cupo, triste e taciturno può facilmente causare stizza, se non rabbia, nel prossimo che lo considera solo un fastidioso pessimista che si crede assuma volontariamente codesto atteggiamento per cause che non vuole esprimere, ed infatti o non esistono o sono sopravvalutate negativamente, e questo il distimico lo sa, ma anche il chiedere aiuto è una di queste difficoltà che sente insormontabili. In questo modo si innesca un circolo vizioso che rafforza nella persona che soffre di depressione lieve la bassa autostima, l’insicurezza e l’autopercezione negativa accrescendo lo sconforto e l’introversione.

Questa forma di depressione può influenzare la vita professionale e personale di chi ne soffre, ma può essere gestita attraverso un percorso, che prevede la diagnosi e l’assistenza di uno o più professionisti.

Una condizione di distimia non è da sottovalutare, in quanto potrebbe portare a:

  • Una qualità della vita inferiore
  • Disturbo depressivo maggiore, disturbi d’ansia o altri disordini dell’umore
  • Abuso di sostanze
  • Difficoltà relazionali e conflitti familiari
  • Difficoltà scolastiche e lavorative
  • Pensieri o comportamenti suicidari
  • Disordini di personalità o altri disordini mentali

Come si riconoscono i sintomi della depressione lieve

I sintomi della depressione possono presentarsi in forma lieve, moderata e grave. Con la prima, ci si sente triste per la maggior parte del tempo o si può non provare interesse in attività che una volta erano piacevoli. Inoltre, la depressione lieve è generalmente accompagnata da alcuni (di solito non tutti) dei seguenti sintomi:

    • Presenza pervasiva di una sensazione di tristezza
    • Dormire troppo o troppo poco
    • Sensazione ricorrente di stanchezza
    • Pigrizia
    • Maggiore irritabilità
    • Difficoltà a concentrarsi
    • Sensi di colpa ingiustificati
    • Perdita dell’appetito o aumento di peso
    • Sensazione d’indegnità

depressione nell'uomo

Come distinguere la tristezza dalla depressione

Un avvenimento importante nella vita, come la morte inattesa di un familiare o di un caro amico può scatenare sintomi simili a quelli della depressione. Tuttavia, potrebbe non essere la forma più grave di questa patologia.

Il contesto e la durata dei sintomi possono aiutare, in parte, a stabilire se si tratta di questo disturbo o semplicemente di una reazione legata al cordoglio. Anche se in genere il senso di inutilità e i pensieri suicidi non sono presenti quando si è in lutto, durante la depressione lieve tendono a manifestarsi stati d’animo e pensieri negativi, incapacità di trarre piacere dalle attività preferite o altri sintomi similari. Questa sintomatologia può essere presente per la maggior parte del tempo.

Quando però il cambiamento di umore durante il lutto si trasforma in angoscia, e inizia a influenzare la propria vita con la presenza costante di pensieri negativi, allora potrebbe trattarsi di qualcosa che va oltre il normale cordoglio; potrebbe trattarsi di depressione reattiva, una forma strettamente legata ad un avvenimento doloroso come un lutto (o ad esempio a separazioni coniugali, alla rottura di un fidanzamento, ad un licenziamento, a fallimenti lavorativi o economici, a disturbi fisici, ad essere stati vittime di un reato o abuso subito anche in età infantile, a problemi con la giustizia, a una bocciatura a scuola) ma caratterizzata da un’intensità e una durata sproporzionate rispetto alla “normale” reazione di fronte a simili eventi. 

L’elemento tipico della depressione reattiva è un sentimento di tristezza vissuto a livello cosciente e con forte partecipazione emotiva. Questa tipologia di disturbo dell’umore è molto frequente nel periodo dell’adolescenza o durante la vecchiaia, ma può insorgere a qualsiasi età, con una maggiore incidenza tra la popolazione di sesso femminile.

Quali sono i sintomi della depressione reattiva?

I primi sintomi della depressione reattiva si manifestano in maniera acuta e improvvisa. Come accade per la forma endogena della malattia, la persona presenta una perdita di interesse verso tutto ciò che lo circonda, umore triste e facilmente mutevole, apatia e pianti frequenti. A questi, poi, si aggiungono:

  • ansia
  • tristezza e continua sensazione di eventi catastrofici imminenti
  • disturbi fisici quali cefalee, bruciori di stomaco e amenorrea
  • disturbi dell’alimentazione
  • disturbi del sonno
  • allusioni alla morte o al suicidio

Il momento più delicato per le persone affette da depressione reattiva è la sera, poiché con il buio i sintomi tipici della malattia si accentuano.

ragazza depressa

Terapia e cura della depressione reattiva

In questo tipo di disturbo il trattamento è prevalentemente, se non esclusivamente, psicoterapeutico e lo scopo principale è quello di favorire una normale reazione all’evento doloroso scatenante.
Si cerca di evitare un intervento farmacologico che potrebbe rivelarsi dannoso sia perché può instaurare una dipendenza “psicologica” sia perché può dare assuefazione. Per questo tipo di disturbo l’uso di farmaci antidepressivi viene ritenuto superfluo, a meno che il quadro clinico non assuma le caratteristiche di un grave disturbo depressivo.

A volte può essere necessario l’uso di ipnoinducenti (quando i disturbi del sonno sono persistenti ed invalidanti) e/o di ansiolitici, se il livello di ansia, tensione e irrequietezza compromettono la capacità di affrontare le esigenze ed i problemi quotidiani.

Inoltre è importante individuare il rischio di suicidio o di complicazioni psichiatriche (alcoolismo, farmacodipendenza,..) per adottare tempestive misure terapeutiche e, se possibile, preventive. In alcuni casi può essere necessario ricorrere al ricovero in una struttura adeguata.

La depressione lieve nell’ottica relazionale

Humberto Maturana afferma che siamo animali amorosi, che l’amore è l’esperienza relazionale che definisce la condizione umana e che ci ammaliamo quando l’amore viene intralciato; quando la nutrizione relazionale (amore) in una coppia o in una famiglia è deficitaria costituisce modelli nocivi che si collegano alla distimia (depressione lieve) e alla depressione.

Quali sono le differenze tra la distimia (depressione lieve) e la depressione?

Nel depresso (depressione maggiore) sempre dal punto di vista relazionale, il contesto familiare è caratterizzato da una coniugalità armoniosa ed una genitorialità disfunzionante. La coppia è molto affiatata, i figli sono trattati in modo inadeguato, talora disprezzati o svalutati e inoltre non considerati “sufficientemente attraenti” per partecipare ai giochi relazionali, come invece accade per i distimici.

La genitorialità di un depresso si basa più su richieste e persino sullo sfruttamento che sulla valorizzazione di un ruolo riconosciuto al figlio. Spesso nelle descrizioni dei figli prevale un’aria narcisistica e le comunicazioni sono spesso cariche autosufficienza; sotto un’apparenza benevola che quasi mai trascura i bisogni materiali dei figli,  è celato un atteggiamento critico e di disprezzo. Sono “esseri perfetti” e i figli sono un vago passatempo finché rispondono alle proprie aspettative, ma si disinteressano appena mostrano difficoltà o carenze.

I “distimici” a volte appaiono polemici ed affezionati alle discussioni, mentre i “depressi” sono soggetti ipersocievoli con una grande abilità nel dare una buona impressione, nel risultare simpatici. Sono propensi all’accettazione delle norme e ad auto incolparsi se queste non funzionano. Si sentono sottoposti ad un eccesso di norme e ad una responsabilità esagerata, ma sono molto resistenti ad affrontare una terapia, perché il contesto familiare esige un’osservanza assoluta della “rispettabilità delle apparenze”.

La famiglia del depresso: origini familiari di una patologia

La depressione rappresenta un tema controverso per gli addetti ai lavori. Da molti anni, essendo questo disturbo in drammatico aumento, psichiatri e medici, spalleggiati dal potente sponsor delle case farmaceutiche, si battono affinché la depressione rientri a pieno titolo tra le “patologie organiche”.

Questo tipo di pazienti si presta molto bene ad essere medicalizzato. Accettano volentieri ogni tipo di farmaco e, nel momento in cui la terapia non funziona, si autocolpevolizzano. In fin dei conti, spesso, sono cresciuti in un ambiente familiare che sconsiglia la critica, l’espressione della frustrazione e dell’ostilità e, per questo motivo, si sentono più sicuri in ambienti medici che psicoterapeutici.

Tuttavia, nonostante la netta prevalenza di interventi farmacologici, si ritiene che non ci sia disturbo psicologico più legato ad aspetti relazionali, in particolar modo familiari. Soltanto che tale ordine di cause non è sempre evidente e non c’è propensione a parlarne, per lo meno non come la controparte medica.

E’ necessaria una precisazione: quando si afferma che la depressione è un disturbo medicalizzato non si intende negare l’importanza degli aspetti biologici. Essi costituiscono la base sulla quale si innestano le nostre esperienze, una sorta di terreno su cui si impiantano gli effetti delle relazioni umane. Tuttavia per avere un buon raccolto non si può solo concimare “chimicamente” il terreno, bisogna curarlo giorno per giorno, scegliendo che cosa seminare.

depressione sintomi

 Le caratteristiche della famiglia di un distimico

Dal punto di vista relazionale, si possono iscrivere in una situazione in cui vi è un buon funzionamento delle funzioni genitoriali e una coniugalità disfunzionale, caratterizzata dalla difficoltà della coppia genitoriale di risolvere i suoi conflitti. Un ragionevole interesse e coinvolgimento verso i figli da una parte, ed una conflittualità coniugale abbastanza intensa dall’altra, costituisce la cornice entro la quale la coniugalità disfunzionale altera, rovina la relazione con i figli. In queste famiglie, la coppia genitoriale è tutt’altro che coesa; il livello di conflitto tra i coniugi è molto alto e questi non esitano ad utilizzare i figli all’interno delle loro battaglie.

Catturato in questo “gioco” familiare, il futuro distimico sperimenta l’ansia legata al conflitto di lealtà, quando si avvicina “parteggiando” per uno dei genitori, si associa rapidamente la perdita della relazione con l’altro.

Il tema della perdita diverrà quindi centrale per la persona, generando tristezza e ansia, ogni qualvolta la storia di vita proporrà mancanze relazionali significative (rottura di rapporti di coppia ad es.).

Sebbene all’interno della famiglia le capacità genitoriali siano ben conservate, l’interesse per i figli è ostacolato dalla difficoltà della coppia a risolvere i propri conflitti, portando ciascun membro alla disperata ricerca di alleati. Si tratta, per usare una metafora, di una atmosfera politica, fatta di alleanze, coalizioni e continue rivalità. Se il primo figlio cade nel campo della madre, è molto probabile che il secondo finisca nell’orbita del padre, innescando una serie di conflitti anche tra fratelli. Questo ci permette di capire come il clima emotivo familiare sia costantemente teso ed esplosivo, con un alto livello di conflitti, punizioni e ricompense. La comunicazione intrafamiliare è fortemente condizionata dalle alleanze, si può parlare con gli alleati ma non è concesso essere aperti con gli antagonisti. Quando il figlio distimico si troverà a socializzare per esempio con gli amici, a scuola, in parrocchia o in vari contesti sociali, proverà molta ansia perché si sentirà schiacciato dalle norme morali, sociali, scolastiche ecc. e avrà difficoltà a legarsi (protezione, vicinanza ecc.). L’ansia che proverà, è la risultante del conflitto tra attrazione ed evitamento delle situazioni di socializzazione.

Le caratteristiche della famiglia d’origine nel Disturbo Depressivo Maggiore

A differenza del distimico, il futuro depresso grave viene al mondo all’interno di una coppia coesa, in cui il livello di conflitto è basso e la tendenza è quella di un funzionamento generalmente armonioso. Questa coppia dando priorità alla coniugalità sulla genitorialità, presenta difficoltà a svolgere le funzioni genitoriali. Tali difficoltà sovente si traducono in richieste eccessive e scarso riconoscimento degli sforzi che il futuro paziente compie. Questo tipo di comportamento dei genitori non è necessariamente manifesto, può essere anche estremamente sottile, ambiguo. L’esempio tipico è la figlia nubile o il figlio “debole di costituzione” che devono occuparsi dei genitori anziani o malati. Questi non sono necessariamente poco riconoscenti ma sostanzialmente è sempre la stessa persona a doversi sottomettere alle richieste.

Ad una prima analisi la famiglia della persona depressa può apparire molto unita ma in realtà sotto questa parvenza di coesione si rintraccia un fondo di espulsività e disimpegno. Anche se si parla molto di unità, il soggetto può avere l’impressione che la sua presenza sia in realtà superflua. La coppia genitoriale è effettivamente coesa ma esiste un forte contrasto tra la forza di questo legame ed il distacco emotivo nei confronti dei figli, soprattutto espresso nei confronti del paziente.

Lo stile genitoriale è tendenzialmente autoritario, anche se non necessariamente dispotico. Il genitore che esercita l’autorità ha un ruolo più attivo nello sviluppo del disturbo depressivo; è più esigente, svalutante, squalificante. Per contro, l’altro genitore, sebbene risulti più amorevole e accondiscendente, non può né vuole rovesciare le “regole del gioco”, contribuendo in modo passivo al mantenimento dello status-quo.

Il livello di adattabilità della famiglia alle situazioni sociali è molto scarso; ogni cambiamento è osteggiato e vissuto come una minaccia, così come le fasi di sviluppo e di crescita da parte dei figli.

Il tema che contraddistingue il nucleo familiare è la necessità di rispettare, di essere all’altezza, delle richieste esterne e delle apparenze sociali. Il successo sociale diviene un elemento indispensabile per essere accettati dalla coppia genitoriale; tutto questo si traduce in un alto livello di richieste e di obiettivi difficili da raggiungere per i figli, costretti a vivere in un contesto basato su richieste continue e irraggiungibili. Tale meccanismo innesca una spirale di situazioni, in cui si da per scontato il fallimento del futuro paziente rendendo, di conseguenza, l’incapacità “reale ed effettiva”.

In un clima familiare di questo tipo il giovane adulto si abitua a fallire e a non ribellarsi, costruendo la propria identità intorno a tematiche quali l’autoaccusa, il bisogno di perfezione, la necessità di rispettare le apparenze. Questo aspetto spiega il motivo per cui se il depresso cede alla disperazione cerca nel suicidio, atto supremo di depressione, la soluzione alla sua situazione. Suicidandosi la persona si autopunisce per non essere stata all’altezza delle richieste che gli altri esigevano da lui e, allo stesso tempo, si vendica dell’ingiusto trattamento di cui è stato oggetto, lasciando un amaro senso di colpa (esattamente ciò che la persona sente, quindi una sorta di: “occhio per occhio, dente per dente”) in quelli che sopravvivono.

Il periodo in cui la persona è maggiormente vulnerabile agli effetti nefasti del clima familiare è l’infanzia, inclusa la preadolescenza. Se il disturbo depressivo non emerge in seguito a stress durante l’adolescenza e la prima età adulta, diviene probabile che si “attivi” durante la prima “importante” relazione di coppia, nel momento in cui l’individuo comprende, rimanendone deluso, che, neanche in quel rapporto, l’assoluto bisogno di sostegno e aiuto può essere soddisfatto in toto.

depressione coppia

La coppia nei casi di depressione lieve

La coppia del distimico si costruisce secondo modalità diverse dalla coppia del depresso “classico”. Generalmente si tratta di una relazione più equilibrata, in cui il potere decisionale è distribuito equamente ma che, proprio per questo, è più vulnerabile al conflitto. Effettivamente il futuro distimico tende a scegliere una persona con una storia familiare simile alla sua. Quando una nuova perdita (la morte del genitore alleato, l’emancipazione dei figli, la disoccupazione, ecc.) scatena la dinamica sintomatica nella persona, l’equilibrio di coppia si rompe, generando conflitti ancora più potenti.

Il meccanismo che si instaura è il seguente: a causa dell’impatto di eventuali perdite significative, il futuro paziente esprime delle lamentele che vengono percepite eccessive dal coniuge; tale percezione impedisce all’altro di mettere in atto adeguate risposte di sostegno e solidarietà. Il suo atteggiamento critico è percepito dal partner, che risponde, a sua volta, con distanziamento ed ostilità. L’emergere dei sintomi ansiosi e depressivi, che avviene solitamente in questa fase, determina un riavvicinamento del coniuge asintomatico, ma tale ricongiungimento tende ad essere vissuto, con il tempo, come manipolatorio e non autentico dal partner (“non lo fa per me, ma per non avere problemi”, ecc.).

Così facendo, la coppia si appiattisce intorno ad un processo di accuse, recriminazioni e sfiducia, che rendono cronico il disturbo.

Come si costruisce invece la coppia nei casi di depressione grave?

Considerando la descrizione (pur sempre generale) della famiglia del depresso, non sorprende che questi ricerchi protezione, tentando di fuggire al più presto e con urgenza, dai legami che lo imprigionano nella squalifica. La scelta del partner è dunque connessa con la necessità di ottenere ciò che gli è sempre mancato: una relazione caratterizzata da protezione e valorizzazione, piuttosto che da richieste. Nel momento in cui la incontra è possibile che i problemi finiscano.

Tuttavia, spesso succede che il futuro depresso si lasci ingannare da un’offerta relazionale solo superficialmente adeguata alle sue esigenze. Il tipico coniuge del depresso, infatti, è qualcuno che ha bisogno di mostrare a se stesso e al mondo che è in grado di sostenere e proteggere chi ha bisogno del suo aiuto. Il problema insorge perché l’aiuto che offre e di cui inizialmente la persona potenzialmente depressa usufruisce, è concesso più per le esigenze del dispensatore, che deve mostrare al mondo la sua forza, che di chi lo riceve.

Nel momento in cui il futuro paziente si rende conto del nuovo inganno (considerando quelli “subiti” nella famiglia di origine) può darsi per vinto, soccombendo definitivamente alla depressione.

La nuova coppia, una volta emersi i sintomi, si struttura in modo rigido: il paziente si abbandona progressivamente al disturbo ed il coniuge acquista sempre maggiore responsabilità e prestigio. Questa facciata serve al compagno per mascherare le sue debolezze; tanto più la persona depressa starà male quanto più il coniuge potrà dimostrare agli altri la sua bontà, la sua abnegazione, il suo impegno.

Riassumendo, la coppia si attorciglia intorno ad un meccanismo circolare, per cui le continue richieste di attenzione del paziente, frustrate dal consorte incapace di farvi fronte, fanno emergere i sintomi; questi innescano ancora di più una “reazione di aiuto” nel membro “sano” della coppia, rafforzando in chi manifesta il disturbo, l’idea di essere incapace, malato e dipendente. Se il meccanismo non viene interrotto la depressione si cronicizza.